
Diversi furono i motivi per cui la spedizione finì col passare relativamente sotto silenzio. L’URSS aveva da poco concluso il ritiro dall’Afghanistan ed era alle prese con i cambiamenti che portarono poi al suo dissolvimento. In Europa l’attenzione era focalizzata sulle spedizioni più leggere e in stile alpino inoltre, come fu detto all’autore del libro, la spedizione fu fin troppo tranquilla: nessun inconveniente, nessun incidente, nemmeno il fatto che la cima principale fosse stata raggiunta 85 volte nel corso della spedizione riuscì veramente ad accendere i riflettori sopra di essa.
In ogni caso l’interesse del libro non si limita alla descrizione della salita ma racconta di che cosa significasse fare alpinismo nell’Unione Sovietica dei tempi: le enormi difficoltà burocratiche, la scarsità dei materiali, la rigida disciplina a cui erano sottoposti gli atleti, il rigore organizzativo e, soprattutto, la dimensione collettiva dell’impresa, che lasciava poco spazio alla celebrazione dei singoli alpinisti.
In questo articolo pubblicato su Sherpa-gate a firma di Paolo Ascenzi, che ha tradotto il libro in Italiano insieme alla collega Iya Shakirzyanova, si descrive la storia alpinistica di questa montagna fino alla se volete sapere tutto, ma proprio tutto, de “I cinque tesori della grande neve“.