Esce tra pochi giorni “Non voglio comandi, non voglio consigli – Racconti di una vita libera”
Si tratta di una raccolta di racconti frutto di un lungo lavoro e curata da Silvia Benetollo, a cui lasciamo volentieri la parola, per presentare questo libro, di cui siamo particolarmente felici.
“Una foto che non mi stancherei mai di guardare. E siccome ho scoperto di non essere l’unica forse vale la pena raccontarla un po’. I baldanzosi giovani ritratti in questa foto, appesa nella sala da pranzo del Rifugio Antelao, hanno appena completato la salita al Campanile di Val Montanaia. È l’estate del ’46, la guerra è appena finita, e se proprio devo dirla tutta, non mi sembrano poi così baldanzosi. Mi sembrano provati, stanchi di una stanchezza che non è solo fisica. Nessuno ha voglia di mettersi in posa, almeno non ancora. Tra loro c’è un alpinista che all’epoca era già famoso, Attilio Tissi. E una sola donna, che si fa chiamare Anna (il suo nome da staffetta partigiana) e che di lì a qualche anno firmerà il suo primo romanzo con lo pseudonimo di Giovanna Zangrandi.
Mi è sempre piaciuta questa foto, perché mi sembra racconti molto di Zangrandi, anche cose che spesso vengono tralasciate. Per esempio, che era un’atleta straordinaria. Con doti fisiche fuori dal comune. Nei suoi scritti racconta spesso le sue imprese come fossero normale amministrazione, ma a chi ha una minima conoscenza delle zone cade la mascella.
Per esempio le traversate delle Marmarole, di notte, in inverno con gli sci ai piedi, per scendere ad Auronzo a portare i dispacci al comando partigiano. Un piatto di minestra e via, per tornare al suo nascondiglio prima che faccia giorno. Oppure i viaggi in bici Calalzo-Padova, andata e ritorno in giornata. Al rientro, arrivata in Alpago, le dicono senti fermati qui, riparti domani. Ma lei niente, rientra in paese che è notte, sfidando la strada Alemagna col buio. E poi ovviamente le scalate.
Vere imprese da grande atleta, chissà cosa sarebbe stata in un periodo diverso. Ma il fatto è che a lei non interessava un granché la prestazione di per sé, anzi detestava chi andava in montagna solo per il gusto dell’impresa e della conquista. Lo scrive senza mezzi termini (come al solito), in “Anni con Attila”:
“Mi accadde talora in quelle sere di considerare con una lucidità nuova altre salite, altri gruppi […] in cui ora non vedevo solo il loro stile e la loro tecnica, ma qualcosa di più, le loro manie esaltate, la loro aggressività sfogata sul monte, la loro solitudine anche […] per me la roccia era stata più che altro un gioco fisico, la montagna non era un week-end, faceva parte della mia vita come la scopa, il pavimento della cucina o le aiuole dell’orto”.
Allora penso, ecco forse perché Zangrandi non guarda la macchina fotografica, in quella foto sul Campanile. Quella è la sua quotidianità, non c’è nulla di speciale da immortalare. E se ne sta lì, ina guardare chissà cosa, forse il solito gracchio in cerca di cibo.
Ecco perché ho deciso di prendere spunto da questa foto per la copertina del libro in uscita per MonteRosa edizioni. Poi, quando disegni sai da dove parti ma non sai mai davvero dove vai a parare: il lavoro lo finisce sempre chi guarda. Qualcuno ha detto che questo ritratto è “reale e ideale allo stesso tempo”. E io non posso dire di non esserne contenta.
E passando dalla copertina al libro: “È un libro importante, innanzitutto perché porta nelle librerie racconti inediti di una delle più importanti scrittrici italiane del secondo Dopoguerra, la cui opera è sostanzialmente tutta fuori catalogo (tranne “Il campo rosso” da poco ripubblicato dal CAI, e “I giorni veri”). Una scrittrice che ha faticato a farsi strada nel panorama editoriale degli anni Cinquanta, per tutta una serie di motivi, non ultimo forse un carattere di certo non facile, pur dando vita a personaggi potenti e indimenticabili, come Sabina de “I Brusaz”. E che oggi è ingiustamente conosciuta in parte solo da chi ama la letteratura di montagna.
Ma Zangrandi non scrive solo di montagna. Nella sua opera, guarda soprattutto alle persone, forse soprattutto alle donne, che cercava di cogliere nella loro autenticità. E delle quali cercava una sorta di sorellanza.
È stata una donna complicata, difficile, poco propensa ai compromessi, che nella sua vita non ha mai avuto timore di andare controcorrente. Anche se ciò significava la solitudine, un prezzo che ha pagato davvero fino in fondo. Niente consigli, niente comandi.
E se Zangrandi era forse troppo moderna per la sua epoca, oggi invece ha molto da dire ai lettori. E alle lettrici.
Insomma, io non vedo l’ora di parlarne. E ringrazio tantissimo Giuseppe Mendicino per la prefazione, Fabio Copiatti per l’aiuto prezioso e Roberta Fornasier, che ci ha accolte e aperto le porte del suo magnifico archivio. E ovviamente Simonetta, che concepisce l’impensabile e lo rende reale.